Motivazione al
trattamento
I pazienti con DCA,
sono, per un medico, tra i peggiori pazienti in senso assoluto. Mentre infatti
la maggior parte degli individui che soffre di un sintomo patologico si
rivolge al medico con l’intenzione di liberarsi del suo sintomo e la
massima motivazione al cambiamento terapeutico, gli individui sofferenti di
DCA si rivolgono al medico con intenzioni quantomeno ambigue.
Quando infatti un
paziente sofferente di DCA si rivolge al medico, di solito non lo fa
primariamente per chiedere al medico di liberarlo dell’ossessione dovuta al
controllo del peso o dell’aspetto fisico (che sono i suoi veri sintomi
patologici), ma più spesso per essere aiutato ad esercitare un controllo
meno faticoso sui suoi sintomi o per essere aiutato a recuperare un
controllo che teme di aver perduto.
In realtà, quando
questi individui chiedono un consulto medico, non hanno una reale
intenzione di abbandonare il controllo del peso, ma sono arrivati ad un
vicolo cieco e sono molto angosciati all’idea di dover rinunciare alla
difesa che per anni li ha protetti da un mondo di fronte al quale si sono
sempre sentiti deboli ed inadeguati.
Per molti medici è
difficile tanto accogliere questo tipo di domanda, quanto tollerare la
scarsa motivazione al trattamento che questi individui manifestano di
fronte alle proposte di terapia.
In realtà, la maggior
parte di questi pazienti, quando decide di rivolgersi al medico, spesso
dopo molti anni di malattia, vorrebbe essere aiutato a cambiare ma allo
stesso tempo ha una paura terribile del cambiamento. Teme cioè che se
abbandonerà il suo sintomo, che è diventato ormai uno stile di vita, si
ritroverà ancora più indifeso e inadeguato di fronte agli altri e ne sarà
schiacciato.
Il trattamento è quindi
possibile e nella maggior parte dei casi darà esito positivo, ma solo a patto
di comprendere quanta angoscia si celi dietro la scorza di apparente
efficienza, ossessività, perfezionismo portato fino alla sfida, che questi
pazienti di solito ostentano.
Il paziente che soffre
di DCA è un po' come un sopravvissuto ad un naufragio che è rimasto vivo
per una settimana andando alla deriva attaccato ad un relitto galleggiante
e che quando alla fine arrivano gli elicotteri del soccorso in mare e gli
gettano una cima ed un salvagente si chiede quanto sia prudente abbandonare
il pezzo di legno che fino a quel momento gli ha salvato la vita per
attaccarsi a qualcosa di apparentemente molto più insicuro.
Cosa accadrebbe se, una
volta abbandonato il suo pezzo di legno, affogasse proprio mentre cerca di
afferrare il salvagente? E se poi il salvagente non fosse sufficiente a
sostenere a galla il suo peso? E se la cima attaccata al salvagente si
rompesse mentre cercano di issarlo sull’elicottero? E se magari
l’elicottero stesso dovesse avere un’avaria costringendolo ad un ulteriore
naufragio?
Tutte le volte che
vorremo convincere una persona che soffre di un DCA a curarsi, cerchiamo di
ricordarci di questa metafora, solo così potremo capire il suo desiderio,
la sua difficoltà, e la sua paura nell’accettare l’aiuto che gli si offre.
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